mercoledì 15 giugno 2011

GIOVANI E PRECARIETA' UN BINOMIO RICORRENTE

Giovani e precarietà, un binomio, oramai, sempre più ricorrente. Ma la precarietà non è l'unico problema dei giovani.
Come denuncia Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, nel nostro Paese “vige il minimo di mobilità a un estremo, il massimo di precarietà all’altro. E’ uno spreco di risorse che avvilisce i giovani e intacca gravemente l’efficienza del sistema produttivo. I salari di ingresso dei giovani in termini reali, sono fermi da oltre un decennio su livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta. La recessione ha reso più difficile la situazione e il tasso di disoccupazione dei giovani sfiora il 30%. Si accentua la dipendenza, già elevata nel confronto internazionale, dalla ricchezza e dal reddito dei genitori”.
In Italia, infatti, la crescita arranca da 15 anni, e mentre i tassi di sviluppo si aggirano attorno all'1%, la domanda resta debole. Inoltre, anche la crisi libica potrebbe pesare sulla nostra economia, non solo con un aumento del 20% del prezzo del petrolio, ma anche minando gli investimenti nell'industria petrolifera dell'area, e con rincari sull'energia, che avrebbero ripercussioni negative anche sulla crescita mondiale.
Dal punto di vista del governatore della Banca d’Italia, “a beneficio della crescita di tutta l’economia andrebbe un assetto normativo ispirato pragmaticamente all’efficienza del sistema. Si è già cominciato, ma azioni riformatrici più coraggiose migliorerebbero le aspettative delle imprese e delle famiglie e aggiungerebbero per questa via impulsi alla crescita”. Ma su questo punto Draghi si dichiara fiducioso, perché gli italiani dispongono di tutte le risorse necessarie e di una grande capacità imprenditoriale.
Un altro problema è che milioni di persone,  pagano contributi previdenziali senza raggiungere il minimo per la pensione.
E li perderanno.
Sono precari, parasubordinati, liberi professionisti non iscritti a un Ordine professionale, donne che hanno lasciato il lavoro. Gran parte dei loro contributi previdenziali vengono versati all’Inps a fondo perduto: se non si raggiunge il minimo richiesto dalla legge per maturare la pensione (il che accade sempre più spesso, dati i lunghi periodi di disoccupazione o lavoro nero), quei contributi saranno usati per pagare le pensioni di altri, ma non danno diritto ad averne una propria. E anche quando si matura il minimo di contribuzione richiesto, la pensione ottenuta non supera i 400/500 euro dell’assegno sociale.
Allora è giusto lo slogan: Non c’è più tempo per l’attesa. È il tempo per la nostra generazione di prendere la situazione in mano e alzare la voce. Per dire che questo paese non ci somiglia, ma non abbiamo alcuna intenzione di abbandonarlo. Soprattutto nelle mani di chi lo umilia quotidianamente.
Siamo la grande risorsa di questo paese. Eppure questo paese ci tiene ai margini. Senza di noi decine di migliaia di imprese ed enti pubblici, università e studi professionali non saprebbero più a chi chiedere braccia e cervello e su chi scaricare i costi della crisi. Così il nostro paese ci spreme e ci spreca allo stesso tempo.

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