E’ attuale nella maggioranza governativa il dibattito tra chi, come Tremonti, sostiene che la crisi non è finita e non è finito il tempo della prudenza, pertanto serve cautela anche sull'attesa riforma fiscale «che non può essere realizzata in deficit», e chi come Maroni ritiene che in questa fase serve più il coraggio che la prudenza, al fine «di mettere in campo una riforma significativa, di sfidare la congiuntura».
Non è una questione di poco conto, vediamo di capire perché.
Keynes sosteneva che le grandi crisi finanziarie portano ad una elevata mancanza di fiducia nei mercati, scoraggiano gli investimenti, fanno diminuire la domanda, portano ad una diminuzione del risparmio e all’aumento della disoccupazione. Per fronteggiare questo scenario solo lo Stato può provocare il rilancio dell’economia con gli investimenti pubblici e la riduzione dell’imposizione fiscale, in modo da poter provocare una scossa e permettere il rilancio dell’economia.
Ma l’aumento degli investimenti pubblici e la riduzione delle tasse portano ad un aumento del debito pubblico.
Queste politiche in una prima fase della crisi sono state adottate, soprattutto negli Sati Uniti, ma successivamente sono state abbandonate al fine di evitare i rischi suddetti. In Europa vi è il monito della Commissione Europea che ha imposto agli Stati membri di attuare politiche di rientro del deficit pubblico al fine di evitare il cosiddetto “rischio Paese”.
Lascio agli economisti la questione, ma come si può intuire non è del tutto marginale, in quanto non è conciliabile una riduzione del deficit pubblico con politiche espansive da parte degli Stati al fine di far ripartire l’economia e quindi ridurre la disoccupazione.
Il rigore senza crescita, alla fine, annulla gli effetti del primo. L’equilibrio di bilancio lo si ottiene sia controllando la spesa sia aumentando il gettito in modo sano, cioè non alzando le tasse, ma il Pil.
La sua mancanza comporta il rischio che per mantenere credibile la ripagabilità del debito pubblico, allo scopo di poterlo rifinanziare a prezzi sostenibili, in condizioni di bassa crescita, si debba tagliare la spesa pubblica fino al punto da ridurre le garanzie essenziali: sanità, istruzione, pensioni e sicurezza. Oppure alzare le tasse, eventualità che ci porterebbe verso una spirale di impoverimento.
Pertanto non è un’opzione, ma una necessità, il combinare rigore, crescita e, per quanto possibile, riduzione del debito.
Questo lo si potrebbe fare attraverso il recupero dell’evasione e attraverso tagli che non siano orizzontali, ma capaci di individuare gli sprechi veri e inutili al fine di finanziare moderatamente la riduzione delle tasse o il sostegno alle famiglie e ai giovani che sono quelli maggiormente colpiti da questa crisi devastante.
Nessun commento:
Posta un commento